Il mito nelle Leggi
Non c’è dubbio, non si può fare a meno d’avere scarsa simpatia, per non dire odio, per quelli che furono ieri e sono ancor oggi la causa dei nostri discorsi; quelli che han perso la fede nei racconti che, fin da bambini, addirittura ancora lattanti, hanno inteso narrare dalle loro madri. Erano racconti detti quasi in forma di incantesimo, un po’ per gioco e un po’ seriamente, e che i bambini avevano modo di ascoltare anche nelle preghiere rituali, associandoli a particolari immagini. Si tratta di impressioni che i giovani coglievano ed ascoltavano con grande dolcezza, allorché avvenivano nel contesto di un gesto rituale, quando magari erano proprio i genitori ad essere assorti, con la massima devozione, nel dialogo con gli dei – naturalmente, con gli dei che esistono davvero! – attraverso preghiere e suppliche rivolte a nome proprio e a nome loro.
(Platone, Leggi, 887d-e, trad. di R. Radice, in Platone, Tutti gli scritti, a cura di G. Reale, Milano, 1996, p. 408)